Uno degli scopi centrali della missione, infatti, è di riunire il popolo nell'ascolto del Vangelo, nella comunione fraterna, nella preghiera e nell'eucaristia. Vivere la «comunione fraterna» (koinonìa) significa avere «un cuor solo e un'anima sola», (At 4,32) instaurando una comunione sotto tutti gli aspetti: umano, spirituale e materiale. Difatti, la vera comunità cristiana è impegnata a distribuire i beni terreni, affinché non ci siano indigenti e tutti possano avere accesso a quei beni «secondo le necessità». (At 2,45); (At 4,35) Le prime comunità, in cui regnavano «la letizia e la semplicità di cuore», (At 2,46) erano dinamicamente aperte e missionarie: «Godevano la stima di tutto il popolo». (At 2,47) Prima ancora di essere azione, la missione è testimonianza e irradiazione.
L'annunzio ha la priorità permanente nella missione: la chiesa non può sottrarsi al mandato esplicito di Cristo, non può privare gli uomini della «buona novella» che sono amati e salvati da Dio. «L'evangelizzazione conterrà sempre - come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo - anche una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo... La salvezza è offerta a ogni uomo, come dono di grazia e di misericordia di Dio stesso». 72 Tutte le forme dell'attività missionaria tendono verso questa proclamazione che rivela e introduce nel mistero nascosto nei secoli e svelato in Cristo (Ef 3,3); (Col 1,25) il quale è nel cuore della missione e della vita della chiesa, come cardine di tutta l'evangelizzazione. Nella realtà complessa della missione il primo annunzio ha un ruolo centrale e insostituibile, perché introduce «nel mistero dell'amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione con lui» 73 e apre la via alla conversione. La fede nasce dall'annunzio, e ogni comunità ecclesiale trae origine e vita dalla risposta personale di ciascun fedele a tale annunzio. 74 Come l'economia salvifica è incentrata in Cristo, così l'attività missionaria tende alla proclamazione del suo mistero. L'annunzio ha per oggetto il Cristo crocifisso, morto e risorto: in lui si compie la piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla morte; in lui Dio dona la «vita nuova», divina ed eterna. È questa la «buona novella», che cambia l'uomo e la storia dell'umanità e che tutti i popoli hanno il diritto di conoscere. Tale annunzio va fatto nel contesto della vita dell'uomo e dei popoli che lo ricevono. Esso, inoltre, deve essere fatto in atteggiamento di amore e di stima verso chi ascolta, con un linguaggio concreto e adattato alle circostanze. In esso lo Spirito è all'opera e instaura una comunione tra il missionario e gli ascoltatori, possibile in quanto l'uno e gli altri entrano in comunione, per Cristo, col Padre. 75
Essendo fatto in unione con l'intera comunità ecclesiale, l'annunzio non è mai un fatto personale. Il missionario è presente e opera in virtù di un mandato ricevuto e, anche se si trova solo, è collegato mediante vincoli invisibili, ma profondi all'attività evangelizzatrice di tutta la chiesa. 76 Gli ascoltatori, prima o poi, intravedono dietro a lui la comunità che lo ha mandato e lo sostiene. L'annunzio è animato dalla fede, che suscita entusiasmo e fervore nel missionario. Come si è detto, gli Atti definiscono tale atteggiamento con la parola parresìa, che significa parlare con franchezza e coraggio, e questo termine ricorre anche in san Paolo: «Nel nostro Dio abbiamo avuto il coraggio di annunziarvi il Vangelo di Dio in mezzo a molte lotte». (1 Ts 2,2) «Pregate. . . anche per me, perché quando apro la bocca, mi sia data una parola franca per far conoscere il mistero del Vangelo del quale sono ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere». (Ef 6,18) Nell'annunziare Cristo ai non cristiani il missionario è convinto che esiste già nei singoli e nei popoli, per l'azione dello Spirito, un'attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull'uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte. L'entusiasmo nell'annunziare il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere a tale attesa, sicché il missionario non si scoraggia né desiste dalla sua testimonianza, anche quando è chiamato a manifestare la sua fede in un ambiente ostile o indifferente. Egli sa che lo Spirito del Padre parla in lui (Mt 10,17); (Lc 12,11) e può ripetere con gli apostoli: «Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito santo». (At 5,32) Egli sa che non annunzia una verità umana, ma la «Parola di Dio», la quale ha una sua intrinseca e misteriosa potenza. (Rm 1,16) La prova suprema è il dono della vita, fino ad accettare la morte per testimoniare la fede in Gesù Cristo. Come sempre nella storia cristiana, i «martiri», cioè i testimoni, sono numerosi e indispensabili al cammino del Vangelo. Anche nella nostra epoca ce ne sono tanti: vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, laici, a volte eroi sconosciuti che danno la vita per testimoniare la fede. Sono essi gli annunziatori ed i testimoni per eccellenza.
DI PIÙ
https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_07121990_redemptoris-missio.html
Comments